Maladeti i Zorzi Vila!

È l’imprecazione più ricorrente utilizzata dai numerosi componenti della famiglia Peruzzi, i cui membri sono protagonisti di Canale Mussolini, opera di Antonio Pennacchi, vincitore nel 2010 della sessantaquattresima edizione del Premio Strega.
Da tempo volevo leggere questo romanzo, ma, come spesso accade, altre urgenze l’avevano fatto slittare in posizione subalterna nella mia lista di letture. La notizia della morte improvvisa dello scrittore il 3 agosto scorso mi ha spinto a riposizionare il libro in cima. Bellissimo.

È la storia di una famiglia di mezzadri originari della bassa Pianura Padana tra Rovigo e Ferrara; una storia di povertà e di braccia concepite per lavorare i campi. Una storia scomoda, ma che getta, senza velleità apologetiche, un po’ di luce su quella che per molti fu la nascita, l’adesione piena e poi, per ultima, la sconfessione del fascismo. Il romanzo copre un arco temporale che va dagli inizi del ‘900 fino alla seconda guerra mondiale. Il nonno, capostipite della famiglia, aderisce inizialmente al socialismo, poi al fascismo grazie alla conoscenza di Edmondo Rossoni.

Ognuno gà le so razon

A causa della cosiddetta Quota 90, i Peruzzi perdono i pochi averi e grazie all’interessamento di Rossoni, divenuto sottosegretario del governo Mussolini, accettano di abbandonare la loro terra di origine ed emigrano nelle Paludi Pontine che il regime ha cominciato a bonificare e dove vengono loro affidati due poderi, il 516 e il 517.

Per la fame. Siamo venuti giù per la fame, altrimenti non si sarebbe mosso nessuno.

La storia procede tra mille difficoltà: economiche e di relazione con gli abitanti del luogo, i pesanti lavori di bonifica, la zanzara anofele e la conseguente malaria sempre in agguato. Poi la guerra con i suoi morti.

Fu un esodo. Trentamila persone nello spazio di tre anni – diecimila all’anno – venimmo portati quaggiù dal Nord. Dal Veneto, dal Friuli, dal Ferrarese. Portati alla ventura in mezzo a gente straniera che parlava un’altra lingua. Ci chiamavano “polentoni” o peggio ancora “cispadani”. Ci guardavano storto. E pregavano Dio che ci facesse fuori la malaria.

Lo stile in prima persona è quello del racconto orale con un linguaggio popolare intervallato dal colorito dialetto veneto-pontino, ma con frequenti citazioni letterarie. Non so come suoni il veneto-pontino, ma ho letto Canale Mussolini con la cadenza veneta costantemente nella testa; non riuscivo a farne a meno. Nella nota filologica l’autore precisa:

Il dialetto veneto-pontino che si parla in Canale Mussolini non è più, naturalmente, quello di Goldoni né – tantomeno – quello che si parla in Veneto oggi. Quando, per esempio, ci incontriamo con le mie cugine che sono rimaste lassù, qualche volta facciamo fatica a capirci. Il nostro è un impasto di rovigotto, ferrarese, trevigiano, friulano eccetera – contaminato da influenze laziali – privo di strutturazione grammaticale fissa, con le vocali ora aperte ora chiuse e le desinenze che cambiano da podere a podere e da situazione a situazione, anche spesso nello stesso parlante.

Antonio Pennacchi

I personaggi sono in parte inventati, in parte presi dalla storia.
È un libro che rimarrà a lungo nella mia memoria.

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