Spezzo una lancia per chi ordina la birra piccola

Vorrei spezzare una lancia per chi ordina la birra piccola (20 cl) o, che esagerazione, la bottiglia da 33. Innanzitutto, non è che sei più maschio – sveglia, non è più di moda – se tracanni mezzo litro di birra e fai un paio di rutti di soddisfazione. 

In estate, dopo tre minuti, qualunque bevanda sul tavolo è calda. Persino la miglior birra o il miglior vino bianco, caldi, fanno schifo. Berresti mai un vino bianco a temperatura ambiente (cioé 30°C)? Io no, ma conosco persone che, purtroppo, lo bevono così anche in estate e guai a metterlo in frigo ché poi ti viene la congestione. Secondo me, meglio un’onorevole congestione – sempre che ti venga – che il vino bianco caldo. O la birra. Ma tant’è.

«No, grazie, non posso proprio bere, mi è venuta l’ulcera e la dottoressa non vuole più vedermi se bevo alcol».

Quindi, per amore della giusta temperatura di servizio, in quei locali dove hanno solo le birre basiche ordino la piccola perché rimane sufficientemente fresca per il tempo necessario a berla. Poi magari ne ordino un’altra.
Negli altri, dove servono le artigianali, chiedo la bottiglia da 50 o 60 cl immersa nel cestello del ghiaccio come si fa col vino bianco. Ti dò anche la mancia, che c…o ti costa portarmi il cestello del ghiaccio. Non riesco a bermi mezzo litro di birra in due sorsi, mica sono un vichingo.  Non ho attraversato il Mare del Nord a bordo di un dreki. Tu che fai finta di essere un intenditore, che senso ha sfoggiare la tua conoscenza della birra artigianale se poi, per berla fresca, te la scoli in due sorsi con la stessa velocità con cui hai l’eiaculazione precoce. Molto precoce. 

Bah!

Appunti

Una cosa che ho cominciato a fare in modo sistematico non appena ho deciso di provare a scrivere è prendere appunti. All’inizio li scrivevo su qualunque superficie di carta mi capitasse a tiro, in casa, in auto o al bar. Facile perderli. Allora ho iniziato a portarmi dietro dei taccuini ovunque andassi, ma oltre a essere un po’ scomodo – mi piacciono i quaderni o taccuini grandi – il rischio era di farseli rubare insieme allo zaino. Ma io amo girare leggero: poche cose e tutte possibilmente in tasca. Quindi sono passato al telefono – non mi fa impazzire come metodo, ma tant’è -, alle note, alle foto che poi, una volta in studio, riporto sul quadernone deputato al progetto. Quadernone sul quale spesso finiscono anche lezioni o parti di lezione o articoli, ritagli su un argomento specifico che in quel periodo sto cercando di approfondire e che in qualche modo utilizzerò nella storia che sto, faticosamente, cercando di scrivere.
Idee su come sviluppare un personaggio, su un aspetto della sua personalità. Nomi, i nomi mi assillano, non mi piace dare ai personaggi nomi troppo comuni, ho bisogno che dietro quel nome vi sia possibilmente una ragione o che mi piaccia il suono. Il nome deve suonare bene col cognome, col personaggio, ed essere possibilmente verosimile anche quando un po’ inusuale. Spezzoni di dialogo che ancora non so se e come utilizzerò.
Uso anche, ma in modo più sporadico, le mappe mentali attraverso uno dei tanti programmi disponibili sugli store digitali. Le mappe mentali mi servono per i collegamenti, per le linee temporali della storia principale e di quelle secondarie, i flashback. Recentemente ho anche provato, con soddisfazione, i fogli A3, ma posso scrivere e disegnare necessariamente solo in studio – al bar sarebbe scomodo.

Qualche giorno fa ho ripreso in mano il quaderno – dovrei dire il volume, date le dimensioni e lo spessore – sul quale avevo scritto quasi tutti gli appunti per Certezza di cose. Molto bello, l’avevo acquistato durante un Fuori Salone qui a Milano. Mi ha stupito la quantità di materiale che non ho utilizzato o che, a una seconda rilettura, ho giudicato inadatto – almeno per questo libro.