A Natale regala un libro

Se hai già letto Certezza di Cose che si Sperano e ti è piaciuto, che ne dici di donarlo a qualcuno che apprezza il genere crime? Se non l’hai ancora letto, qui puoi prendere conoscenza dei primi capitoli. Poi, sta a te decidere. Io spero ti piaccia.
Certezza di Cose che si Sperano è su Amazon in formato cartaceo e Kindle.

Milano. All’ispettrice Isotta Ales è affidata l’indagine sull’omicidio di una donna nel mondo della solidarietà. Ma Isotta vuole occuparsi di un altro caso, quello che vede coinvolto il suo uomo, Delio, padre di un bambino di otto anni: chi ha tentato di uccidere Delio; perché; chi era la donna morta nella sua auto. Un noir nel quale le due indagini si sovrappongono permettendo a Isotta di scoprire una serie di omicidi collegati, costringendola ad affrontare la sua angoscia più grande mentre scopre di essere braccata. Una storia nella quale tutti i personaggi affrontano, ognuno in modo diverso, l’esplorazione del significato più profondo di fiducia.

Odio ammalarmi

Odio ammalarmi, rimanere chiuso in casa per giorni senza far nulla. Ho finito tutti i compiti. Sono bravo in matematica. Nelle altre materie un po’ meno, ma prendo comunque buoni voti. La mamma dice che almeno la scuola non è una preoccupazione. «Almeno quella!». Lei ha altro a cui pensare adesso. Rimanere a casa per due settimane per colpa mia l’ha messa di cattivo umore. Lei dice che non è vero, che sono la persona più importante, ma lo so che ce l’ha con me. Ce l’ha con me perché sono ammalato, non può andare al lavoro e non andare al lavoro è un problema perché il suo capo prima o poi la licenzia. Dice. Non a me, lo dice piano a Emma, la sua amica, al telefono, ma io sento lo stesso dalla mia stanza. Non tutto, ma quasi. A volte mi stendo sul divano di là e faccio finta di riposare per sentire cosa dice al telefono, l’unico che abbiamo e che usa sempre lei. Posso giocarci solo qualche volta perché le serve sempre. A volte piange. Come ieri. Ieri sono andato di là per chiederle perché, ma appena sono entrato nella sua stanza, che era anche quella di papà, si è girata e si è asciugata in fretta gli occhi. Perché fai finta di non piangere se ti ho già vista? Ha inventato una scusa. Non ricordo quale. Certo che con le scuse sono più bravo io. Lei ci crede sempre. Papà faceva solo finta di crederci, perché in realtà non gli importava nulla. Sì sì certo, ora vai in camera tua. E poi litigava con mamma. Se n’è andato e non è più tornato, nemmeno per prendere le cose rimaste. Però si è preso il televisore e il computer. Vecchi, ma funzionano ancora. Mamma lo ha cercato al telefono, ma lui non ha mai risposto. Lo so perché lei lo racconta a Emma. Io non so perché se n’è andato; la mamma dice che tornerà, poi dice che è meglio se non torna. È da parecchio che non lo vedo. Non è ancora tornata. Ha detto che usciva a comprare il termometro nuovo, quello vecchio si è rotto, ma è passato un sacco di tempo. Ho guardato l’orologio quando è uscita. Mezz’ora al massimo. Ho guardato l’orologio, però io non so ancora leggere l’ora! Non bene, mi confondo. A me sembra sia passato molto più di mezz’ora. Vorrei dormire, così da non rendermi conto del tempo che passa. Vorrei svegliarmi che lei è già qui. Quanto tempo ci vorrà per andare a comprare un termometro! E se si perde, se ha un incidente? E se anche lei decide di andarsene? La dottoressa dice che devo rimanere a casa per almeno altri undici giorni perché sono ancora infettivo e devo rimanere isolato. La mamma dice che vuol dire da solo. Usa il dizionario! Non so che cos’ho. Mi ha detto il nome della malattia, ma non me lo ricordo. Una cosa che si prendono tutti i bambini prima o poi. Mi ha detto che una volta si poteva morire per quella cosa lì. Ora si sta a casa per un po’ e poi si torna a scuola. Spero presto, perché non ne posso proprio più di stare qui dentro. Lo so che a molti miei compagni non piace la scuola, ma a me sì. A scuola mi diverto, faccio cose che mi piacciono. Non tutte. E poi ho i miei amici. Con loro gioco durante l’intervallo, a volte anche durante la lezione, ma la maestra ci becca subito. Una volta mi sono anche preso una nota. La mamma mi ha detto pazienza. Marta mi ha rimproverato. Perché? Lei non è mia madre, ha la mia età! Non posso invitare Pietro. Potrei passargli la malattia e così sarebbe lui a dover rimanere a casa. «No buono», come dice il bidello. La maestra dice che non si chiama più bidello, ma collaboratore scolastico. Ma perché devo usare due parole difficili quando posso usarne una facile? Giocherei con Marta, anche se è una femmina, ma non posso invitare neppure lei. Dice che siamo fidanzati, ma che cosa vuol dire, che non gioco più con Pietro? A me non sta bene. Con lei non posso giocare come con Pietro, si fa subito male, si offende. E poi non voglio essere rimproverato. Ho letto tutto quello che c’era da leggere, anche se ho capito poco. La mamma dice che se distribuissero ancora l’elenco telefonico leggerei anche quello. Mi annoio e il televisore se l’è preso papà. La mia finestra dà su un prato con degli alberi. Abitiamo in campagna, ché costa meno. Dalla finestra c’è una bella vista; solo che oggi piove, il vetro è bagnato. Appannato. Mi diverto a guardare le gocce che scendono lentamente. Insomma. Mi siedo sul davanzale va’, non riesco più a stare a letto. Mi appoggio ai libri che occupano gran parte della stanza. Ce ne sono anche sul marmo della finestra. Sono della mamma o del suo capo, non ricordo. Una volta poteva lavorare anche da casa col vecchio computer, ma da quando papà se l’è preso, deve andare in ufficio, ma non può perché io sono ammalato. Ma dov’è finita? Ormai è buio. È successo qualcosa. Guida come una lumaca! Non torna. Va a finire che anche lei non torna. Sarà andata da papà, hanno deciso di lasciarmi qui. Che fame. L’ora della merenda sarà passata da un po’. Vado in cucina, forse la mamma ha lasciato qualcosa anche se ha deciso di andarsene. Una pera molle. Posso resistere. Bevo un po’ d’acqua, ma ne rovescio un po’ sulla cucina. Asciugo con la carta del rotolo. La mamma ha detto che non dovremmo consumare carta inutilmente, però ha comprato questo rotolo e l’ha appeso vicino ai fuochi. No, i fornelli. Devo chiederle perché ha comprato quel rotolo di carta se poi non dobbiamo usarlo. Glielo chiedo quando torna. Se torna. Sono proprio arrabbiato. Sono sicuro che se n’è andata e mi ha lasciato qui. Se non mi ha chiuso a chiave forse posso uscire e andare dal padrone di casa. È vicino. Casa sua è appiccicata alla nostra, ma anche la nostra è sua. Mi viene da piangere. Però non vale. Non è giusto. Vado bene a scuola. Ogni tanto ne combino una, ma tutti dicono che sono bravo anche se vivace. Non so cosa vuol dire. Devo usare di più il dizionario anche se non ne ho mai voglia. È pesante. La mamma dice che è l’unico modo per migliorare il lessico. Lessico l’ho cercato sul dizionario, ma mi sono già dimenticato cosa vuol dire. Però ha un bel suono. Alcune parole mi piacciono molto perché hanno un bel suono anche se non conosco il significato. Che fame. La pera molle proprio no. Fammi vedere in frigo. C’è ancora un po’ di latte. Speriamo che insieme al termometro compri anche da mangiare. Il latte sembra buono, non puzza. Solo che a me freddo non piace. La mamma dice che non devo accendere il fuoco, soprattutto quando sono da solo. Ma adesso sono grande, l’ho visto fare, lo so come si fa. La cucina è vecchia. Ci vogliono i fiammiferi. Nel cassetto. E poi, lei non c’è, non torna più, devo fare da solo. Prima metto il pentolino sul fuoco, fornello!, poi verso il latte, poi accendo il fiammifero, questo non è facile però, tengo premuto il coso del gas, avvicino il fiammifero. Sento  lo sssss del gas. Niente, non si accende. Ah, sì, l’ho visto fare alla mamma. Sposto il pentolino, accendo un altro fiammifero, tengo premuto il coso e avvicino il …, minchia che fiamma!, non devo dire minchia. Ma perché ha fatto pum? Devo chiederlo alla maestra. Mi sono bruciato un po’ i capelli. Che puzza! Come quando la nonna bruciava il pollo sul fuoco. Non ricordo la faccia della nonna, ma quella puzza me la ricordo, non so perché. Devo bagnarmi un po’ la faccia, sento caldo. Il lavabo è dietro di me. Mi bagno la faccia e i capelli che fanno uno strano rumore. Cos’è questa luce? Viene da dietro. È il rotolo! Ha preso fuoco. Ma come è possibile? È bellissimo. Che luce! Le fiamme stanno sciogliendo la plastica del …, come si chiama? porta-rotolo. Ma certo, questa era facile. Cola che sembra frappé. Dentro il pentolino. Nooooo. Era tutto il latte che avevo. E ora? Il campanello. Qualcuno ha suonato. Sarà il padrone di casa come quella volta che papà aveva il volume del televisore troppo alto. Ma papà non c’è. Ci sono solo io. Sarà arrabbiato come quella volta lì. Suona ancora. Vado a vedere. Le chiavi sono nella serratura. Allora posso uscire! Apro la porta. È la mamma con due enormi buste della spesa. Ma dov’eri? Ho fame. Cosa ho fatto ai capelli? Non lo so, cosa ho fatto? Sì, ti lascio entrare. Mi stavo annoiando, mi è venuta fame, allora sono andato in cucina, ma c’era soltanto una pera molle. Allora ho guardato nel frigo, ho preso il latte, il pentolino … . Sì, lo so che non devo … . Mamma, perché hai fatto cadere le buste?


© Paolo Nobile – Testo registrato su Patamu.com con numero di deposito 140752

© Elena Shumilova – Untitled

L’odore

È uno di quei giorni in cui vorrei essere al mare, vestito per il freddo: giacca pesante, le mani in tasca, occhiali da sole per proteggermi dalla luce diffusa del cielo coperto, ma non solo. Prendo l’auto e in poco tempo sono lì. Osservo le onde spinte dal vento calmarsi sulla spiaggia. Mi bagno le scarpe e chissenefrega se avrò freddo ai piedi. Cammino a lungo, mi fermo al chioschetto sulla passeggiata, voglioso di caffè.

L’immagine è di autore sconosciuto. Fa parte della collezione di Sèbastien Lifshitz, composta da fotografie trovate nei mercatini delle pulci o su internet (!). Tutte raccolte in un libro intitolato Amateur.

Seduto sul muretto, come da ragazzino, osservo i pochi compagni di giro. Ognuno cerca un pezzo di sé: un ricordo, una sensazione sepolta da tempo, un viso. Ritrovarsi, senza il bisogno di parlare con qualcuno. O il dovere.
Incrocio un giovane uomo vestito di tutto punto, da sera, le scarpe lucide. Un dandy, direbbe qualcuno con un termine da sempre desueto. La sabbia bagnata gli sporca le calzature eleganti. Porta a spasso due cagnolini. È un po’ stropicciato; probabilmente è appena rientrato da una notte movimentata. Aperta la porta di casa, deve aver trovato i suoi amici in attesa, scodinzolanti. Niente doccia, subito a spasso. I cani mi piacciono, ma non quelli piccoli. Un cane deve avere una certa dimensione, deve essere forte. Un cane piccolo è un giocattolo; uno grande è un amico. Non so perché.
Il giovane uomo mi fa tornare in mente un diciassettenne conosciuto brevemente durante un’estate al mare. Si faceva chiamare con un nome di donna e, tra tutti i miei amici, aveva scelto me cercando più volte, timidamente, di avvicinarmi. Facevamo tutti parte di un folto gruppo di ragazze e ragazzi provenienti da diverse città. Un giorno arrivai in spiaggia prima di tutti. Era già lì e trovò il coraggio di porre proprio a me la domanda che probabilmente lo arrovellava da tempo, nonostante la giovane età. Eravamo tutti alla ricerca della storia dell’estate, magari la prima, una di quelle che poteva durare una notte o un mese. Non di più. Italiana, tedesca, inglese. Per noi la riviera offriva molte possibilità, tacche da aggiungere alla cintura. Lui probabilmente cercava una risposta, una risposta che io non avevo; non sapevo perché mi piacessero le ragazze, ma era così. Il perché lo capii molti anni dopo: era l’odore. L’odore di un uomo mi respinge, quello di una donna mi attrae. Semplicemente.

L’odore del mare non mi respinge mai, nemmeno quando esagera, come quando sulla spiaggia marciscono le alghe scaraventate a riva dalla burrasca. In estate vengono immediatamente raccolte; in inverno giacciono sulla battigia a decomporsi, putrefare.
Il mare mi riporta all’infanzia, quando mio padre mi insegnava, coi suoi modi spicci, a nuotare; alle scottature; alle vacanze che duravano uno, due, tre mesi; ai cugini molto più scafati di me. Da adulto, ho imparato a navigare. Della navigazione mi piace tutto, riesco ad apprezzare persino le scomodità o gli eventi che mettono alla prova la mia esperienza, sempre troppo poca. Ma se devo pensare a un momento particolare è quando, uscito dal porto, messa la prua al vento e issata la vela, poggio e appena preso velocità, spengo il motore. Silenzio, a parte il suono del vento, lo sciabordio dell’acqua. E l’odore del mare.

Il sole invisibile è al tramonto. È ora di tornare, mi avvio verso il punto dove ho lasciato l’auto.
Ma prima ho voglia di entrare nell’acqua vestito, come in un film.


© Paolo Nobile – Testo registrato su Patamu.com con numero di deposito 140313

I Dettagli

Sto guardando una serie Sci-Fi americana. Storia interessante, plot A e plot B si intersecano nei momenti giusti, cast di tutto rispetto, sono rappresentate le diverse etnie, i generi, le preferenze sessuali ecc., tutto secondo l’attuale codice hollywoodiano politically correct, se non fosse che …

Una cosa che mi ha sempre infastidito nella maggior parte dei film o serie Tv di fantascienza è che troppo spesso non vi è la cura necessaria dei dettagli. Di alcuni dettagli. In una storia di fantascienza, almeno le più elementari leggi della fisica dovrebbero essere rispettate. È vero che ci troviamo all’interno di un racconto di finzione nel quale in un futuro relativamente vicino o lontano si possono fare cose oggi impossibili o impensabili, ma questo racconto è inserito in un universo, per quanto creato dall’autore, dove le leggi della fisica devono essere necessariamente valide, non cambiano nel tempo, semmai cambia la comprensione di queste leggi, altrimenti la storia non sarebbe verosimile. Non sarebbe fantascienza, per la quale «un certo grado di plausibilità scientifica rimane tuttavia un requisito essenziale».

Mi riferisco in particolare al volo dei veicoli che viaggiano al di fuori dell’atmosfera terrestre. Che si tratti di astronavi, capsule di salvataggio, incrociatori spaziali, caccia o cargo, troppo spesso questi veicoli nei film si muovono come volassero nell’atmosfera. Nello spazio, dove le ali non servono (servono solo in presenza di un gas o di un fluido), i veicoli modificano la loro traiettoria come se fossero aerei. Non lo sono. Devono usare altri sistemi di controllo della direzione.

La gran parte degli spettatori nemmeno si rende conto di questa inverosimiglianza, ma ciò nonostante gli autori, a meno che non siano esperti del campo, devono servirsi di un buon consulente. Anche se non recepito a livello conscio, il dettaglio, la cura per esso, che ad alcuni potrebbe sembrare superflua o costosa, migliora la fruizione della storia. È qualitativamente rilevante. Ecco la differenza con 2001 di Stanley Kubrick, per esempio. Lì ogni dettaglio è stato analizzato e la visualizzazione delle traiettorie e dei comportamenti dei corpi nello spazio è, se non vera, certamente verosimile.

Il diavolo è nei dettagli, così come la perfezione.

Fotogramma da 2001 Space Odyssey di Stanley Kubrick

Leggi l’anteprima di Certezza di Cose

È quasi Pasqua, ma l’alba ha un aspetto ancora invernale. Uccelli migratori attraversano l’aria. Conche, canali, navigli, chiuse, darsene, rogge, fiumi e torrenti: un’idrografia leonardesca crea una serie di reticoli – figure geometriche armoniche accanto a poligoni singolari – che regalano viste inaspettate di una parte sconosciuta della capitale economica d’Italia. Immagini astratte, dall’alto, come frutto del lavoro di un David Maisel o di un Andreas Gursky rivisitati. 

Certezza Di Cose Che Si Sperano
Copertina completa – Design © Silvia Caligaris, Foto © Paolo Nobile, Stratificazione IV (2010)

Milano. All’ispettrice Isotta Ales è affidata l’indagine sull’omicidio di una donna nel mondo della solidarietà. Ma Isotta disubbidisce al suo superiore, vuole occuparsi di un altro caso, quello che vede coinvolto il suo uomo, Delio, padre di un bambino di otto anni: chi ha tentato di uccidere Delio; perché; chi era la donna morta nella sua auto. Un noir nel quale le due indagini si sovrappongono permettendo a Isotta di scoprire una serie di omicidi collegati, ma costringendola ad affrontare la sua angoscia più grande mentre scopre di essere braccata. Una storia nella quale tutti i personaggi affrontano, ognuno in modo diverso, l’esplorazione del significato più profondo di fiducia.

Leggi qui l’anteprima del romanzo.
Certezza Di Cose Che Si Sperano è disponibile sia in versione cartacea, sia Kindle.

Team Deakins

Cinema.
Appassionati, professionisti e aspiranti tali, cinefili. Se appartenete a uno di questi gruppi, probabilmente conoscete il grande direttore di fotografia e da poco – finalmente! – due volte premio Oscar, Roger Deakins. Pochi sanno, però che Roger lavora da molto tempo con sua moglie James (sì, il nome è maschile, ma in realtà il nome completo è Isabella James Purefoy Ellis). Formano una coppia professionale consolidata.

Photo by Kevork Djansezian/Getty Images

Il mercato è tale da averli lasciati, per il momento, a piedi. La pandemia non ha fatto altro che peggiorare la situazione. Allora Roger e James hanno messo su una serie im-per-di-bi-le di podcast dove intervistano colleghi e compagni di lavoro. Uno più interessante dell’altro. Fin’ora ho potuto ascoltarne solo alcuni: Joel Coen, Sam Mendes, Jake Gyllenhaal, ma l’elenco è lunghissimo. Da aprile, ne hanno pubblicati oltre sessanta.

Tutti in inglese, sorry. Li trovate qui.

Sulla Vita Privata degli Artisti

Dellʼautore di unʼopera dʼArte non vorrei sapere quasi nulla. Per quale ragione conoscere la vita privata, le inclinazioni politiche o sessuali? Sapere se Tizio picchia la moglie o se gli piace farsi picchiare da lei. Se beve o si droga. Ciò che conta è il suo lavoro. Mi piace o non mi piace? Mi ha interessato, divertito, stimolato, annoiato? Mi ha fatto vedere il mondo con occhi differenti? Regalato intensi momenti di commozione? Gioia?

Ha importanza che Palahniuk, per esempio, sia omosessuale o che Woody Allen abbia sposato la figlia adottiva della sua ex moglie? Ho sentito giudicare negativamente il regista americano solo sulla base di ciò che racconta la sua famosa accusatrice («No, i suoi film non li vedo, non mi piacciono»).
Se viene commesso un reato, se ne deve occupare la magistratura. Carmelo Bene picchiava sua moglie; infatti è finito in commissariato, ma questo nulla ha tolto alla sua grandezza di artista. Certo, non è stata una bella azione. Certo, mi girano le tasche sapere che uno dei miei registi preferiti ha votato per quella pericolosa macchietta di Trump, o che uno dei più grandi conduttori di musica sia stato sospettato di essere un simpatizzante nazista, ma questo fa parte delle miserie dellʼessere umano. Marlene Dietrich accusava la figlia di averle rovinato il seno.

Errare Humanum Est

Cʼè qualcosa nelle opere dʼarte – la vera Arte, non quella spacciata come tale da certi critici, galleristi o collezionisti – che trascende la dimensione umana dellʼautore. Come grandi artisti riescano a essere, a volte, miserabili, io non lo so, ma so che, nonostante ciò, non posso fare a meno delle loro opere.

Prima di scrivere

«Prima di scrivere», scattavo fotografie.

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Strane le coincidenze. Oggi, per puro caso, mi sono imbattuto in un articolo di DoppioZero scritto da Francesca Serra che aveva come titolo, appunto, «Prima di scrivere»: la storia di una scatola di fotografie trovate nella soffitta della vecchia casa del grande scrittore J.M. Coetzee. Fotografie che l’autore sud-africano aveva scattato da adolescente prima di avviarsi verso la carriera di scrittore. Fotografie che l’amico Hermann Wittenberg ha ritrovato nella soffitta della vecchia casa di Coetzee e ha deciso di farne prima una mostra e poi un libro.

Naturalmente non voglio suggerire alcuna associazione o analogia tra me e Coetzee. Solo il caso ha potuto determinare che nello stesso giorno in cui ho rimesso in circolazione questo libro, stampato nel 2013 per l’edizione del MIA – Milan Image Art Fair di quell’anno, io mi sia imbattuto in questa storia.

Incipit

Il suono di un tram in arrivo. Le carrozze vuote attraversano lo spazio con uno sfarfallio di luci e forme. Lo sferragliare del tram si affievolisce; lo spazio lasciato libero dalle carrozze si riempie delle architetture della via deserta, i lampioni accesi, i portici vuoti.
Quiete. Solo i rumori ovattati della città addormentata.

Certezza Di Cose Che Si Sperano

Milano. All’ispettrice Isotta Ales è affidata l’indagine sull’omicidio di una donna nel mondo della solidarietà. Ma Isotta disubbidisce al suo superiore, vuole occuparsi di un altro caso, quello che vede coinvolto il suo uomo, Delio, padre di un bambino di otto anni: chi ha tentato di uccidere Delio; perché; chi era la donna morta nella sua auto. Un noir nel quale le due indagini si sovrappongono permettendo a Isotta di scoprire una serie di omicidi collegati, ma costringendola ad affrontare la sua angoscia più grande mentre scopre di essere braccata. Una storia nella quale tutti i personaggi affrontano, ognuno in modo diverso, l’esplorazione del significato più profondo di fiducia.

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Certezza Di Cose Che Si Sperano è disponibile sia in versione cartacea, sia Kindle.

Si ricomincia

Certezza Di Cose Che Si Sperano è il risultato imprevisto di un mutamento radicale avvenuto all’interno del mio mondo. Una trasformazione che ho tardato a comprendere. Certezza Di Cose è anche il risultato di una scommessa.

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Ho sempre amato leggere, di tutto, ma, escludendo alcuni buffi tentativi durante i miei “teens“, non mi è mai venuto in mente di scrivere prima di una dozzina di anni fa. Ho cominciato con un diario: quando ho saputo che sarei diventato padre a quarantotto anni, mi è venuta voglia di mettere su carta i miei pensieri, gli avvenimenti familiari di quel periodo di attesa, articoli di giornale, le sensazioni, le gioie. E, perché no, anche le frustrazioni. Non si hanno ricordi dei nostri primi anni di vita e del mondo attorno a noi, se non confusi, perché mediati dal racconto dei nostri genitori la cui memoria si modifica e, inevitabilmente, si diluisce col passare del tempo. Ho iniziato a fissare su carta, con parole fresche, gli istanti più importanti, in modo che la memoria, a distanza di anni, non tradisse il racconto. L’ho fatto affinché mio figlio avesse una storia alla quale tornare da adulto. Quel diario lo tengo ancora oggi.

In questi dodici anni il mio mondo professionale è cambiato radicalmente. A un certo momento, ho dovuto pensare a cosa fare da grande. In genere ho poche, instabili certezze, ma ricordo di aver pensato che dovevo fare qualcosa che mi piacesse. Era necessario. Indispensabile. Di questo ero proprio sicuro. A metà degli anni ’90 avevo avuto una breve esperienza nel cinema; mi piace imparare cose nuove. Cinque intense settimane. Dopo, avevo approfondito la conoscenza fatta sul set studiando su alcuni libri di testo reperibili all’epoca. Ancora un paio di cortometraggi e poi ero tornato al mio lavoro. Quando ho cominciato ad avere troppo tempo libero, ho ripreso a studiare, questa volta sceneggiatura. Ho frequentato alcuni workshop, due corsi di sceneggiatura, un corso di scrittura, ho letto molti libri e manuali. A quel punto, circa tre anni fa, mi sono chiesto: e adesso? Adesso scrivo una sceneggiatura («Scrivete ciò che vorreste vedere sullo schermo»). E così è nata Certezza Di Cose. Una volta terminata, ho saputo di una collega di corso che, trovandosi nei guai nello sviluppo di una serie tv commissionata, aveva provato a sviluppare la storia in un romanzo e, da lì, con una serie di spostamenti da una forma all’altra, era riuscita a migliorare il lavoro e completarlo, col risultato che, oltre alla sceneggiatura, si era ritrovata anche un libro tra le mani. Ho seguito lo stesso percorso.

A questo link, i primi quattro capitoli del mio libro. Se vi piace ciò che scrivo, ce ne sono altri ventitré, ma bisogna pagare una piccola cifra in denaro. Disponibile sia in versione Kindle che cartacea.