Premio ALA 2022

Sabato 22 ottobre, 25°C in riva al mare, presso la Sala conferenze del Polo culturale comunale “Bottini dell’olio” di Livorno, ho ricevuto il 1° Premio per la sezione racconti lunghi del Premio ALA. Il testo presentato si intitola Il Golden Retriever ed è entrato a far parte dell’antologia che raccoglie tutti i testi premiati.

Sapevo di aver fatto un buon lavoro, ma vederselo riconoscere da una giuria è emozionante.

Odio ammalarmi

Odio ammalarmi, rimanere chiuso in casa per giorni senza far nulla. Ho finito tutti i compiti. Sono bravo in matematica. Nelle altre materie un po’ meno, ma prendo comunque buoni voti. La mamma dice che almeno la scuola non è una preoccupazione. «Almeno quella!». Lei ha altro a cui pensare adesso. Rimanere a casa per due settimane per colpa mia l’ha messa di cattivo umore. Lei dice che non è vero, che sono la persona più importante, ma lo so che ce l’ha con me. Ce l’ha con me perché sono ammalato, non può andare al lavoro e non andare al lavoro è un problema perché il suo capo prima o poi la licenzia. Dice. Non a me, lo dice piano a Emma, la sua amica, al telefono, ma io sento lo stesso dalla mia stanza. Non tutto, ma quasi. A volte mi stendo sul divano di là e faccio finta di riposare per sentire cosa dice al telefono, l’unico che abbiamo e che usa sempre lei. Posso giocarci solo qualche volta perché le serve sempre. A volte piange. Come ieri. Ieri sono andato di là per chiederle perché, ma appena sono entrato nella sua stanza, che era anche quella di papà, si è girata e si è asciugata in fretta gli occhi. Perché fai finta di non piangere se ti ho già vista? Ha inventato una scusa. Non ricordo quale. Certo che con le scuse sono più bravo io. Lei ci crede sempre. Papà faceva solo finta di crederci, perché in realtà non gli importava nulla. Sì sì certo, ora vai in camera tua. E poi litigava con mamma. Se n’è andato e non è più tornato, nemmeno per prendere le cose rimaste. Però si è preso il televisore e il computer. Vecchi, ma funzionano ancora. Mamma lo ha cercato al telefono, ma lui non ha mai risposto. Lo so perché lei lo racconta a Emma. Io non so perché se n’è andato; la mamma dice che tornerà, poi dice che è meglio se non torna. È da parecchio che non lo vedo. Non è ancora tornata. Ha detto che usciva a comprare il termometro nuovo, quello vecchio si è rotto, ma è passato un sacco di tempo. Ho guardato l’orologio quando è uscita. Mezz’ora al massimo. Ho guardato l’orologio, però io non so ancora leggere l’ora! Non bene, mi confondo. A me sembra sia passato molto più di mezz’ora. Vorrei dormire, così da non rendermi conto del tempo che passa. Vorrei svegliarmi che lei è già qui. Quanto tempo ci vorrà per andare a comprare un termometro! E se si perde, se ha un incidente? E se anche lei decide di andarsene? La dottoressa dice che devo rimanere a casa per almeno altri undici giorni perché sono ancora infettivo e devo rimanere isolato. La mamma dice che vuol dire da solo. Usa il dizionario! Non so che cos’ho. Mi ha detto il nome della malattia, ma non me lo ricordo. Una cosa che si prendono tutti i bambini prima o poi. Mi ha detto che una volta si poteva morire per quella cosa lì. Ora si sta a casa per un po’ e poi si torna a scuola. Spero presto, perché non ne posso proprio più di stare qui dentro. Lo so che a molti miei compagni non piace la scuola, ma a me sì. A scuola mi diverto, faccio cose che mi piacciono. Non tutte. E poi ho i miei amici. Con loro gioco durante l’intervallo, a volte anche durante la lezione, ma la maestra ci becca subito. Una volta mi sono anche preso una nota. La mamma mi ha detto pazienza. Marta mi ha rimproverato. Perché? Lei non è mia madre, ha la mia età! Non posso invitare Pietro. Potrei passargli la malattia e così sarebbe lui a dover rimanere a casa. «No buono», come dice il bidello. La maestra dice che non si chiama più bidello, ma collaboratore scolastico. Ma perché devo usare due parole difficili quando posso usarne una facile? Giocherei con Marta, anche se è una femmina, ma non posso invitare neppure lei. Dice che siamo fidanzati, ma che cosa vuol dire, che non gioco più con Pietro? A me non sta bene. Con lei non posso giocare come con Pietro, si fa subito male, si offende. E poi non voglio essere rimproverato. Ho letto tutto quello che c’era da leggere, anche se ho capito poco. La mamma dice che se distribuissero ancora l’elenco telefonico leggerei anche quello. Mi annoio e il televisore se l’è preso papà. La mia finestra dà su un prato con degli alberi. Abitiamo in campagna, ché costa meno. Dalla finestra c’è una bella vista; solo che oggi piove, il vetro è bagnato. Appannato. Mi diverto a guardare le gocce che scendono lentamente. Insomma. Mi siedo sul davanzale va’, non riesco più a stare a letto. Mi appoggio ai libri che occupano gran parte della stanza. Ce ne sono anche sul marmo della finestra. Sono della mamma o del suo capo, non ricordo. Una volta poteva lavorare anche da casa col vecchio computer, ma da quando papà se l’è preso, deve andare in ufficio, ma non può perché io sono ammalato. Ma dov’è finita? Ormai è buio. È successo qualcosa. Guida come una lumaca! Non torna. Va a finire che anche lei non torna. Sarà andata da papà, hanno deciso di lasciarmi qui. Che fame. L’ora della merenda sarà passata da un po’. Vado in cucina, forse la mamma ha lasciato qualcosa anche se ha deciso di andarsene. Una pera molle. Posso resistere. Bevo un po’ d’acqua, ma ne rovescio un po’ sulla cucina. Asciugo con la carta del rotolo. La mamma ha detto che non dovremmo consumare carta inutilmente, però ha comprato questo rotolo e l’ha appeso vicino ai fuochi. No, i fornelli. Devo chiederle perché ha comprato quel rotolo di carta se poi non dobbiamo usarlo. Glielo chiedo quando torna. Se torna. Sono proprio arrabbiato. Sono sicuro che se n’è andata e mi ha lasciato qui. Se non mi ha chiuso a chiave forse posso uscire e andare dal padrone di casa. È vicino. Casa sua è appiccicata alla nostra, ma anche la nostra è sua. Mi viene da piangere. Però non vale. Non è giusto. Vado bene a scuola. Ogni tanto ne combino una, ma tutti dicono che sono bravo anche se vivace. Non so cosa vuol dire. Devo usare di più il dizionario anche se non ne ho mai voglia. È pesante. La mamma dice che è l’unico modo per migliorare il lessico. Lessico l’ho cercato sul dizionario, ma mi sono già dimenticato cosa vuol dire. Però ha un bel suono. Alcune parole mi piacciono molto perché hanno un bel suono anche se non conosco il significato. Che fame. La pera molle proprio no. Fammi vedere in frigo. C’è ancora un po’ di latte. Speriamo che insieme al termometro compri anche da mangiare. Il latte sembra buono, non puzza. Solo che a me freddo non piace. La mamma dice che non devo accendere il fuoco, soprattutto quando sono da solo. Ma adesso sono grande, l’ho visto fare, lo so come si fa. La cucina è vecchia. Ci vogliono i fiammiferi. Nel cassetto. E poi, lei non c’è, non torna più, devo fare da solo. Prima metto il pentolino sul fuoco, fornello!, poi verso il latte, poi accendo il fiammifero, questo non è facile però, tengo premuto il coso del gas, avvicino il fiammifero. Sento  lo sssss del gas. Niente, non si accende. Ah, sì, l’ho visto fare alla mamma. Sposto il pentolino, accendo un altro fiammifero, tengo premuto il coso e avvicino il …, minchia che fiamma!, non devo dire minchia. Ma perché ha fatto pum? Devo chiederlo alla maestra. Mi sono bruciato un po’ i capelli. Che puzza! Come quando la nonna bruciava il pollo sul fuoco. Non ricordo la faccia della nonna, ma quella puzza me la ricordo, non so perché. Devo bagnarmi un po’ la faccia, sento caldo. Il lavabo è dietro di me. Mi bagno la faccia e i capelli che fanno uno strano rumore. Cos’è questa luce? Viene da dietro. È il rotolo! Ha preso fuoco. Ma come è possibile? È bellissimo. Che luce! Le fiamme stanno sciogliendo la plastica del …, come si chiama? porta-rotolo. Ma certo, questa era facile. Cola che sembra frappé. Dentro il pentolino. Nooooo. Era tutto il latte che avevo. E ora? Il campanello. Qualcuno ha suonato. Sarà il padrone di casa come quella volta che papà aveva il volume del televisore troppo alto. Ma papà non c’è. Ci sono solo io. Sarà arrabbiato come quella volta lì. Suona ancora. Vado a vedere. Le chiavi sono nella serratura. Allora posso uscire! Apro la porta. È la mamma con due enormi buste della spesa. Ma dov’eri? Ho fame. Cosa ho fatto ai capelli? Non lo so, cosa ho fatto? Sì, ti lascio entrare. Mi stavo annoiando, mi è venuta fame, allora sono andato in cucina, ma c’era soltanto una pera molle. Allora ho guardato nel frigo, ho preso il latte, il pentolino … . Sì, lo so che non devo … . Mamma, perché hai fatto cadere le buste?


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